FORMA DEI DENTI E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE. UNA TRASFORMAZIONE ANTROPOLOGICA?

By: | Tags: | Comments: 0 | maggio 3rd, 2018

Immagini pubblicitarie in tv ci illustrano da sempre dentisti scienziati che guardano denti e gengive al microscopio e inventano per noi lo spazzolino e il dentifricio di ultima generazione, scientificamente testato, che “aiuta a prevenire” la carie e le malattie gengivali. In realta’ l’odontoiatria non puo’ definirsi scienza (intesa come insieme di cognizioni che permettono di capire come siamo arrivati ad una malattia dentale e a fare previsioni su quale esito avra’ quella in oggetto o se, quando e dove si manifestera’ di nuovo sul dato individuo). L’odontoiatria e’ piuttosto una prassi finalizzata alla riparazione di lesioni dentali di cui, nell’immaginario collettivo, si pensa di aver ufficialmente approfondito l’origine al di là di ogni ragionevole dubbio.

In seguito all’invasione delle universita’ da parte del corporativismo bancario-alimentare-farmaceutico l’odontoiatria non si occupa piu’ di studiare come e perche’ si manifestano le malattie dentali, e “colà dove si puote ciò che si vuole” si è scelto di tralasciare opportunamente ambiti di ricerca che avevano dato prova di comprendere i fenomeni dentali al di là del limite di comprensione ufficialmente noto. I ricercatori del settore odontoiatrico si copiano tra loro le statistiche delle rispettive ricerche volte solo ad indagare argomenti di carattere merceologico, tipo l’esito del tale impianto a distanza di tanti anni su tanti soggetti presi come se fossero tutti uguali, oppure come reagiscono i tessuti gengivali e ossei alla presenza del tal’altro impianto. E i dentisti vengono istruiti come operai specializzati nella sostituzione dei pezzi di ricambio promossi dagli opinion leaders di turno. La scienza e’ ben altra cosa, e la piega riduzionistica che ha preso dopo la Seconda Guerra Mondiale è funzionale solo agli interessi di chi produce pezzi di ricambio a ritmi industriali.

Pochi dentisti si domandano come hanno fatto i padri della scienza ortodontica a definire le caratteristiche di una buona occlusione dentale, che poi e’ il combaciamento dei denti. Difficilmente si cercano lumi nella storia dell’ortodonzia (anche perche’ non viene insegnata). La storia dice che i primi dentisti non barbieri che si sono occupati specificamente di denti e che hanno scritto trattati moderni riguardo al combaciamento (occlusione) dei denti risalgono al Settecento. Ma quale modello ebbero questi primi dentisti moderni per definire l’occlusione dentale ideale da imitare possibilmente nella protesi e, piu’ tardi, nei trattamenti ortodontici (l’ortodonzia come disciplina odontoiatrica a se’ stante si individuo’ tra la fine dell’Ottocento e  i primi del Novecento grazie ad Edward H. Angle)?

I primi dentisti, contemporanei alla Rivoluzione Industriale, a partire da osservazioni cliniche effettuate su quegli abitanti di citta’ che presentavano dentature esenti da carie, malattie gengivali e denti mancanti, attraverso considerazioni idealistiche di ordine geometrico, estetico e architettonico dedussero quello schema dentale considerato fisiologico che e’ stato trasmesso fino ai dentisti dei giorni nostri.

 

 

Ma c’e’ un ma: non manifestare una patologia visibile o non denunciare sintomi all’atto dell’osservazione del medico non significa necessariamente essere sani.

Perche’ sono nati i dentisti? Perche’ nel nostro spazio-tempo le malattie di denti e gengive sono frequenti. Per cui non e’ corretto metodologicamente cercare un modello di salute ed efficienza dentale in uno spazio-tempo in cui le malattie dentogengivali sono endemiche.

La risposta corretta a questa antica domanda odontoiatrica (quale e’ il combaciamento dentale “naturale”, “fisiologico” o “maggiormente performante”?), infatti, non e’ stata trovata dai dentisti. La risposta e’ stata trovata da chi, come gli antropologi e gli archeologi, indaga spazi-tempi diversi dal nostro. In questi diversi spazi-tempi ci si imbatte (o meglio, ci si imbatteva…) in intere generazioni e intere popolazioni che non hanno mai visto una malattia dentale, un dentista o uno spazzolino.

In un precedente articolo (https://www.aipro.info/2018/04/17/alimentazione-e-rivoluzione-industriale-una-trasformazione-antropologica/) abbiamo parlato di come sia cambiata la flora batterica orale e quindi siano comparse le malattie dentogengivali in seguito alla rivoluzione agricola del Neolitico e, soprattutto, in seguito alla Rivoluzione Industriale.

E se, oltre alla flora batterica orale fosse cambiato anche qualcos’altro? In questo caso, come avrebbero potuto i primi dentisti trovare, esaminando la popolazione di malati dentali a loro disposizione, il corretto modello di combaciamento dentale naturale, fisiologico, maggiormente performante?

E infatti i dentisti del Settecento-Ottocento malintesero come fisiologica l’occlusione dentale patologica degli individui apparentemente sani viventi nelle citta’ europee durante la Rivoluzione Industriale, e ne tramandarono le caratteristiche ai successivi dentisti che, ancora oggi, ritengono sia il modello di combaciamento dentale naturale, fisiologico, maggiormente performante.

Il primo dentista che rivaluto’ l’argomento in chiave antropologica, facendo il confronto con comunita’ al di fuori o ai margini della Rivoluzione Industriale, fu Weston A. Price. Della sua opera fondamentale, “Nutrition and physical degeneration” (http://www.vyzivujicitradice.cz/wp-content/uploads/2010/11/Weston_Price_-_Nutrition_and_P.pdf), i dentisti di oggi non conoscono nemmeno…. l’autore (se non ce l’hanno detto all’universita’ che colpa ne abbiamo?). Di lui abbiamo gia’ parlato abbondantemente in numerosi articoli e in un libro (https://www.bambinonaturale.it/il-giusto-respiro/BN00374/).

Oggi, invece, vogliamo parlare di cosa hanno scoperto antropologi e archeologi sull’occlusione dentale, e mettere questi risultati a confronto con la “norma occlusale’ tradizionalmente nota ai dentisti.

Premetto che ci riferiremo con particolare attenzione al grado di usura e al combaciamento verticale dei denti anteriori (incisivi), noto ai dentisti col termine tecnico di overbite.

 

USURA E DIMENSIONI DENTALI

La prima cosa che salta agli occhi, quando si faccia il confronto tra i denti antecedenti e posteriori alla Rivoluzione Industriale, e’ il grado di usura della superficie masticante (occlusale). I denti degli esseri umani antecedenti alla Rivoluzione Industriale risultano fortemente usurati, al punto che le tipiche cuspidi risultanono “piallate” fino a scomparire pressoche’ interamente.

L’estrema usura caratteristica dei denti antecedenti alla Rivoluzione Industriale.

 

Questo ritrovamento costante ha permesso di ipotizzare il ruolo breve e transitorio delle cuspidi, nel periodo compreso tra l’eruzione del dente e il suo posizionamento finale: la presenza delle cuspidi permetterebbe l’orientamento ottimale del dente, rispetto agli altri già presenti sulla stessa arcata e a quelli antagonisti, sui piani frontale, verticale e anteroposteriore. In effetti, come clinicamente si osserva, la scomparsa delle cuspidi per usura non comporta affatto la perdita dell’efficacia masticatoria da parte del dente. E, come affermò Begg (“Begg’s orthodontic theory and technique”, WB Saunders 1971) dopo aver osservato per una vita i denti degli aborigeni australiani, “quando i denti sono sottoposti ad usura naturale, un combaciamento dentale rigido e scolasticamente definito (occlusione centrica) non esiste.”

L’usura si manifesta anche nello spazio interdentale, riducendo nel tempo anche sensibilmente le dimensioni cosiddette “mesiodistali” dei denti.

Su questo aspetto la comunita’ degli antropologi non ha dubbi. Tra coloro che hanno scritto noti articoli in proposito ci sono nomi famosi come Broca (1879), Keith (1915, 1920, 1923, 1924), Gregory (!922), Campbell (1925), Pedersen (1949), Moorees (1957) e molti altri. Sfortunatamente non c’e’ confronto tra il mondo odontoiatrico e quello antropologico per cui, per assurdo, gli antropologici danno per acquisite informazioni riguardanti i denti che i professori di odontoiatria continuano a tacere agli studenti e quindi ai futuri dentisti…. Anche perche’ ignote ai professori stessi. La conseguenza e’ che, poi, gli odontotecnici (gli artigiani che costruiscono le protesi dentali installate dai dentisti), fanno a gara per costruire i denti finti dalle forme cuspidali piu’esteticamente ineccepibili (diremmo piu’ veri dei denti veri…), e i dentisti montano nelle bocche di individui anche anziani denti dalle forme troppo “giovani” anche per un adolescente.

Le dimensioni dei denti, a detta degli antropologi, sono rimaste costanti e tendenzialmente grandi fino a quando non abbiamo iniziato a cuocere gli alimenti e ad aiutarci con utensili sul tipo dei coltelli. Nonostante questo le malocclusioni , le carie e le malattie gengivali erano del tutto infrequenti, tanto da non esserne rimasta traccia, pur essendo state, probabilmente, minimamente presenti. L’elemento costante rilevato da antropologi e archeologi è l’importante usura testimoniata da tutti i denti considerati.

In seguito all’ultima grande glaciazione, come dicevamo, l’ambiente cambiò radicalmente e fu necessario il fuoco per rendere commestibili gli alimenti. Fu allora che i denti iniziarono a ridursi di dimensioni, come anche il volume della faccia, e cambiarono anche in parte gli schemi di usura dentaria. Nonostante questo malattie dentogengivali e modifiche dell’assetto dentario (malocclusioni) continuarono a non essere presenti. Con l’avvento dell’agricoltura e il consumo di cereali inizialmente non raffinati l’usura dei molari aumentò, mentre si allegerì quella degli incisivi

 

COMBACIAMENTO DENTALE DEI DENTI ANTERIORI (INCISIVI)

Nella settima edizione del primo e piu’ famoso trattato di ortodonzia modernamente inteso (“Treatment of malocclusion of the teeth: Angle’s system”, 1907), il padre dell’ortodonzia Edward H. Angle cosi’ definisce il “normale” combaciamento degli incisivi sul piano verticale, il cosiddetto “sovramorso” o “oberbite” (si tratta della misura di quanto, in termini di millimetri,  gli incisivi superiori coprono la visibilita’ degli inferiori quando tutti i denti sono a contatto): “… gli incisivi superiori di solito ricoprono gli inferiori di un terzo della lunghezza delle loro corone, sebbene il grado di tale ricopertura possa variare, essendo maggiore nei denti di individui di temperamento bilioso o nervoso, e minore nei denti di individui di temperamento sanguigno e linfatico.”

Lo schema dell’occlusione dentale normale secondo Angle, il padre dellortodonzia, e la scolastica linea di contatto di combaciamento dei denti. Tutto questo è tuttora ufficialmente valido e viene insegnato come “naturale” e “normale”. A pensarci, però, per i bianchi civilizzati è normale anche essere nevrotici fino alla psicosi… e in effetti non ci siamo risparmiati nemmeno la diffusione della nostra “normale” follia presso chi viveva in modo più naturale e pacifico di noi.

 

La correttezza di quanto sopra deriva dalla convinzione che i denti incisivi abbiano una funzione paragonabile a quella di una forbice. Questa convinzione nacque nei dentisti per il fatto che il sovramorso incisivo a forbice, in una società civilizzata e posteriore alla Rivoluzione Industriale, è praticamente ubiquitario, e trovare eccezioni a questa regola può essere arduo. Poiché, dunque,  il sovramorso incisivo è ubiquitario (nel nostro spazio-tempo), gli incisivi devono funzionare come le due lame opposte di una forbice. E siccome  gli incisivi funzionerebbero come una forbice, allora il sovramorso deve essere naturale. Un esempio di innocente ragionamento circolare odontoiatrico.

In realtà, come riassume succintamente C.L. Brace, “L’overbite, o sovramorso incisivo, in realtà è un artefatto dovuto a come si è trasformata la vita degli esseri umani. Questa stessa trasformazione giustifica la necessità dell’introduzione della figura dei dentisti” (C.L. Brace, “Occlusion to the anthropological eye”, 1977).

 

Il sovramorso o “overbite” e’ il grado di ricopertura verticale degli incisivi superiori sugli inferiori. Venne definito da Carabelli “mordex normalis” perche’, ai tempi in cui Carabelli e i primi dentisti fecero le loro osservazioni sulla “normalita’ dentale”, quasi tutti gia’ presentavano questo tipo di occlusione dentale.

 

Gia’ Carabelli,  nella sua classificazione del morso (occlusione) incisivo verso la meta’ dell’Ottocento, notava la differenza tra il morso testa a testa (“a cesoia”, niente sovramorso), da lui definito mordex rectus, e il morso comunemente osservato nella popolazione europea, da lui definito mordex normalis (“a forbice”, sovramorso, overbite). Carabelli non mancava di ricordare che gli individui con un mordex rectus avevano la massima probabilita’ di conservare i denti tutta la vita, molto usurati ma ben funzionanti.

Nel morso “testa a testa”, o “mordex rectus” di Carabelli, non esiste sovramorso degli incisivi superiori sugli inferiori. Pur accompagnandosi, in natura, ad una vistosa usura, clinicamente e’ l’assetto dentario piu’ efficiente, longevo ed esteticamente accettabile. Qui i denti di un anziano. I dentisti sanno che e’ raro trovare esempi di questo tipo di dentature ai giorni nostri.

 

A parte questa osservazione clinica di Carabelli, i dentisti non si occuparono mai di individuare quale sia la forma tipica dell’organo dentale in condizioni “naturali” (intendiamo, per natura dell’essere umano, quella propria di individui che vivono in comunita’ di cacciatori-raccoglitori), ne’ se a quale forma sia correlato quale grado di efficienza funzionale, versatilita’ e longevita’ dell’organo dentale stesso. Di questo si occuparono, come gia’ abbiamo detto, gli antropologi che hanno studiato le comunita’ di cacciatori-raccoglitori, e gli archeologi, che hanno studiato i resti di antichi uomini, dalla Preistoria al Rinascimento. Antropologi e archeologi concordano nell’affermare come il sovramorso incisivo tipico dell’uomo moderno sia un epifenomeno della civilizzazione industriale, e che l’occlusione dentale naturale sia invece caratterizzata da un rapporto incisivo testa a testa, privo di sovramorso.

Diversi possibili morsi incisivi. A sinistra il tipico sovramorso, il piu’ comune rapporto occlusale incisivo, cosi’ frequente da essere ritenuto “normale” perfino dai primi dentisti. Al centro un sovramorso “compensato” da usura, poco frequente nel nostro spazio-tempo. A destra un morso “testa a testa”, estremamente raro tra i civilizzati.

 

Nel 1924 Keith sottolineo’ che quelli che noi oggi riteniamo siano i normali e naturali tratti tipici del volto umano (come il sovramorso incisivo), non diventano frequenti prima della Rivoluzione Industriale nel Diciottesimo Secolo in Gran Bretagna. E sempre Keith intuisce che siamo di fronte a un diffuso cambiamento dei denti e della faccia umana correlato a “un disturbo dell’elaborato sistema di ormoni implicati nella regolazione della crescita fisiologica” (A. Keith, “The growth of the jaws, normal and abnormal, in health and disease”, London, 1924), che oggi possiamo definire di origine epigenetica. In sostanza Keith afferma che l’uomo ha sempre avuto le stesse forme e volumi dentali e la stessa funzione muscolare facciale, fino a quando non si e’ addomesticato da solo. A quel punto sono emerse le forme dentofacciali e le corrispondenti funzioni muscolari, oggi comuni, che prima erano molto infrequenti. Queste nuove forme sono state classificate, ad esempio, dai dentisti, che le riconoscono nei diversi tipi di malocclusione dentale.

Keith potrebbe non avere torto. Sappiamo da studi etologici che i processi di domesticazione degli animali hanno sempre un prezzo in termini di salute psico-neuro-endocrino-immunitaria, pagato, ahime’, dall’animale addomesticato. E cos’e’ stata la Rivoluzione Industriale se non il processo di autodomesticazione dell’essere umano?

Secondo lo zoologo Dmitry Konstantinovich Belyaev, “Una variazione ambientale, che allenti le pressioni canalizzanti, può scatenare la variabilità morfologica tamponata dell’ambiente iniziale. Specie selvatiche portate a vivere in cattività mostrano una inattesa esplosione di variabilità…. Quando si stabiliscono condizioni in cui la varietà genotipica si palesa (ad esempio l’allevamento) sono guai per la specie. Quanto piu i fenotipi rivelano le debolezze dei genotipi, tanto piu’ la specie si avvia alla decadenza” (D.K. Belyaev, “Destabilizing selection as a factor in domestication”, The Journal of Heredity 70: 301-8, 1979). Traduzione: la Rivoluzione Industriale ( = variazione ambientale) permette all’uomo di non essere piu’ costretto a cacciare, raccogliere e lavorare a mano la terra ( = allentamento delle pressioni canalizzanti). A questo punto l’uomo da naturale si trasforma in addomesticato, e compaiono forme umane precedentemente del tutto infrequenti ( = si scatena la varieta’ morfologica tamponata dall’ambiente iniziale). Alcune forme umane ( = fenotipi), soprattutto oggi, a piu’ di 300 anni dalla Rivoluzione Industriale, testimoniano l’indebolimento della nostra specie ( = genotipo):  malocclusioni dentali, ma anche… disordini neuropsichiatrici sin dall’infanzia, incapacita’ riproduttive diffuse, nevrosi e psicosi in quantita’ mai registrate, tendenze (e istigazioni) al suicidio, alterazioni dell’equilibrio psico-sessuale fuori controllo e dulcis in fundo… un apparato statale-burocratico-finanziario che pubblicizza tutto questo come la nuova “normalita’ umana” cui faremmo bene ad assuefarci al piu’ presto, per il nostro bene ovviamente.

Lo zoologo Belyaev riusci’ a selezionare volpi “domestiche” a partire da volpi selvagge che mostravano di tollerare l’uomo. Noto’ che l’allevamento o domesticazione degli animali favorisce la comparsa di forme e comportamenti che in natura non si manifestano, e che sono proporzionali al grado di degenerazione degli individui della comunita’ allevata. E’ importante sottolineare che nelle volpi domestiche non compaiono nuovi caratteri provenienti da mutazioni genetiche. I caratteri nascosti sono gia’ presenti nel genoma, ma nuove condizioni di vita (ad esempio, domesticazione) possono indurre gli organismi a manifestarli.

 

Sebbene si sia supposto che il morso incisivo testa a testa sia il risultato degli importanti fenomeni di usura dentaria tipici di un’alimentazione a base di cibi non raffinati (T.D. Campbell, “Dentition and palate of the Australian Aborigine”, Adelaide 1925), si e’ scoperto che questo tipo di morso e’ gia’ presente in individui in eta’ infantile e adolescenziale, quindi prima che l’usura abbia avuto tempo di modificare significativamente le superfici masticanti dei denti, a condizione che vivano in condizioni naturali.

Il morso testa a testa non ha niente a che fare con una peculiare genetica delle popolazioni tradizionali non civilizzate che lo manifestano. Come dimostrato ampiamente da Weston A. Price, questo tipo di morso e’ comune a tutte le razze umane di tutti i tempi e di tutti i luoghi, almeno finche’ non iniziano a vivere come l’uomo bianco moderno. A quel punto il sovramorso incisivo compare in tutte le razze e in tutti i luoghi, nel giro di una o due generazioni a partire da quella che ha iniziato a civilizzarsi.

Il libro epocale di Weston A. Price. La congiura del silenzio ai danni suoi e di intere generazioni di dentisti, semplicemente, grida vendetta.

 

Ma in che modo la civilizzazione spinta tipica della Rivoluzione Industriale puo’ aver modificato il morso dentale?

Spontaneamente viene da pensare alla tipologia dei cibi: dai frutti di caccia, pesca e raccolta si e’ passati all’agricoltura e, come abbiamo visto, a parte una riduzione delle dimensioni dei singoli denti e della faccia in generale, il morso dentale e’ rimasto sempre e comunque lo stesso (testa a testa incisivo) dalla Preistoria al Rinascimento. L’antropologo C.L. Brace ci suggerisce di non guardare ai cibi, ma a come questi vengono lavorati prima del loro consumo. Prima della Rivoluzione industriale il cibo era tendenzialmente duro, grezzo, fibroso. Gli animali, anche domestici, vivevano liberi, non in allevamenti intensivi che ne impedivano il movimento frollandone le carni anche prima della macellazione. La gente era abituata ad usare gli incisivi non come forbice, ma come terza mano che afferrava e strappava il boccone in collaborazione con la mano vera e propria che ne afferrava l’altra estremita’. In questo senso il corretto termine antropologico che descriva i denti anteriori non e’ denti “incisivi”, bensi’ denti “prensivi”.

La cesoia taglia per sovrapposizione “testa a testa” delle lame.

Le forbici tagliano per sovrapposizione (“sovramorso”) di una lama sull’altra.

 

 

 

 

 

 

 

 

Brace si riferiva a questo modo di usare gli incisivi come pinze e cesoie definendo la tecnica “stuff and cut” (lett. metti in bocca e incidi). E, sempre secondo Brace, l’origine del sovramorso e’ dovuta all’introduzione della forchetta durante la Rivoluzione Industriale: usando la forchetta non e’ piu’ possibile il posizionamento degli incisivi in testa a testa durante la masticazione e cosi’, venendo a cessare la loro posizione oppositiva durante l’atto masticatorio, gli incisivi superiori continuerebbero ad erompere verso il basso e gli inferiori verso l’alto, cosa che avrebbe fatto nascere il sovramorso delle popolazioni civilizzate che usano le posate per mangiare.

L’osservazione di Brace e’ acuta, ma non sufficiente a spiegare il fenomeno del sovramorso. Brace infatti, in quanto antropologo, non puo’ avere esperienza clinica di riposizionamento ortodontico del morso incisivo. Questo invece e’ il mio ambito d’esperienza, e io sono un dentista il cui lavoro, da molti anni, consiste nel recuperare il corretto morso testa a testa nei tanti bambini che, respirando a bocca aperta invece che col naso, finiscono per sviluppare un sovramorso incisivo.

Anzitutto va detto che, cosi’ come e’ probabile che fu necessario introdurre la figura del dentista come conseguenza del fatto che nel nostro spazio-tempo le malattie dentogengivali sono diventate endemiche,  cosi’ e’ altrettanto probabile che l’introduzione delle forchette si rese necessaria come conseguenza del fatto che si andavano diffondendo contemporaneamente sia la riduzione dell’efficienza psicofisica della popolazione, sia alimenti molli, destrutturati, artificialmente devitalizzati (in una parola, industriali). Una popolazione, umana o animale, che va incontro ad un processo di domesticazione (che comporta riduzione di efficienza psicofisica), sceglie spontaneamente alimenti molli. A quel punto, e non prima, saranno benvenute le forchette. Il processo di domesticazione della popolazione inglese (la prima sottoposta alla Rivoluzione Industriale, e che poi si fece carico di esportarla), ossia di inurbazione e acquisizione coatta delle abitudini innaturali conseguenti alla vita in citta’, inizio’ nel Diciassettesimo Secolo con una legge che di fatto esproprio’ le comunita’ rurali della possibilita’ di vivere dei frutti della terra, costringendoli per sopravvivere ad emigrare nelle citta’, ove gia’ si preparavano per loro gli stabilimenti industriali, gli slums e le condizioni di vita bestiale ad essi associati (malattie infettive, vaccinazioni coatte, cibo poco nutriente e in decomposizione, condizioni igieniche indicibili ecc.).

C’era di che essere fieri di vivere negli slums londinesi perche’ si faceva parte del Regno Unito, la nazione piu’ “progredita” del mondo, ancora oggi un “faro” per l’umanita’, come dimostra il recente caso di Alfie Evans, in cui ragioni darwiniste si intrecciano con quelle malthusiane.

 

Purtroppo non basta, come voleva Brace, distribuire forchette per far comparire il sovramorso. Le forchette si rendono necessarie quando una popolazione si e’ gia’ trasformata epigeneticamente per la mancanza di lavoro fisico all’aperto, l’assenza di allattamento al seno, il fallimento del bonding materno e della famiglia tradizionale i cui componenti devono andare a lavorare in fabbrica, e il conseguente consumo di alimenti “facili” forniti dall’industria alimentare (a partire dai derivati di latte, zucchero e farine raffinate).

Tutto questo induce trasformazioni peggiorative della capacita’ di produrre figli neurologicamente sani. Con questo intendo dire che ogni processo di domesticazione, civilizzazione o che dir si voglia, modifica le persone e il prodotto del loro concepimento, che da una generazione all’altra diventa progressivamente disfunzionale. Questo e’ stato dimostrato sia negli esseri umani (vedi Weston A. Price), sia negli animali (Francis M. Pottenger Jr.). Ho riassunto le loro preziose osservazioni nel libro “Il giusto respiro” (2013, https://www.bambinonaturale.it/il-giusto-respiro/BN00374/ ) .

Il sovramorso incisivo testimonia l’inefficienza dello sviluppo neurologico del soggetto, che non riesce conseguentemente a garantire il corretto sviluppo muscolare della faccia, da cui dipende il divenire fiologico del morso testa a testa. La disamina puntuale di questa affermazione ha richiesto un altro libro (“Adenoidismo. La relazione dimenticata tra sistema endocrino, sistema immunitario, respirazione e giusta crescita”, 2017 https://www.amazon.it/Adenoidismo-relazione-dimenticata-immunitario-respirazione/dp/8894240819), al quale rimando chi abbia la curiosita’ di approfondire l’argomento.

Come dicevo, la formazione del morso non dipende dalla masticazione con o senza le forchette. La masticazione, infatti, e’ un’attivita’ neurologicamente semiautomatica di secondaria importanza ai fini della conservazione della vita, a differenza di respirazione e deglutizione, che invece sono attivita’ automatiche di importanza vitale immediata, che determinano la postura (insieme delle tensioni fibromuscolari reciproche) e come tali hanno maggiore peso morfogenetico rispetto alla masticazione. Il mio lavoro di tutti i giorni mi ha dimostrato che i soggetti coi sovramorsi piu’ gravi hanno tensioni muscolari cosi’ forti da riportarli in una posizione di sovramorso anche dopo essere stati riposizionati a masticare in testa a testa… a meno che non seguano correttamente e per tutto il tempo necessario il programma di rieducazione neuromuscolare della faccia, la cui finalita’ e’ sostituire l’abitudine neuromuscolare automatica acquisita di respirare a bocca aperta con l’abitudine neuromuscolare automatica fisiologica di respirare col naso a bocca chiusa. Da cio’ discende che l’incompentenza neuromuscolare acquisita impone il consumo di cibi molli, per i quali serve la forchetta. Solo se i muscoli facciali e il naso funzionano bene e’ possibile mangiare cibi duri. Infatti la masticazione di cibi duri richiede un tempo di apnea che chi non riesce a respirare col naso, semplicemente, non puo’ permettersi, preferendo deglutire senza masticare o, meglio, consumare alimenti cosi’ molli che non richiedano masticazione. Come ulteriore prova, ci viene ancora in aiuto l’esperienza clinica: poche prescrizioni fisioterapiche indispettiscono i bambini adenoidei a bocca aperta come quella di allenarsi a mangiare cibi cosi’ duri da non poter essere afferrati con la forchetta, come la carne secca (coppiette romane) o le scorze del parmigiano.

L’individuo che cresce respirando a bocca aperta sviluppera’ conseguentemente un sovramorso incisivo (da cui la popolare definizione di “faccia da cavallo”), e sara’ spontaneamente ma tragicamente attirato dal consumo di cibi molli e artificiali. Questo e’ l’esemplare più rappresentativo dell’essere umano tecnologico civilizzato e inurbato.

 

Ci piace concludere con l’analisi di quella che Brace defini’ la “prova del nove” della sua teoria su forchette e sovramorsi, riportata nell’interessante “In punta di forchetta. Storie di invenzione in cucina” di Bee Wilson (Rizzoli, 2013). Brace sapeva che in Cina non si e’ mai mangiato col metodo stuff and cut, che prevede l’uso dei denti incisivi come pinze prima e come cesoie subito dopo. In Cina l’uso delle bacchette e dei cibi sminuzzati venne introdotto circa 1000 anni prima che le forchette venissero introdotte in Occidente, piu’ o meno sotto la dinastia Song (960-1279 d.C.). Se la propria intuizione era fondata, riteneva Brace, l’uso delle bacchette doveva lasciare il segno del sovramorso nelle dentature dei cinesi almeno 1000 anni prima che da noi.

In un museo di Shanghai Brace trovo’ la prova che tanto aspettava: uno studente della dinastia Song il cui cranio mostrava un evidente sovramorso. Dal suo resoconto della visita al museo, come si legge nel libro della Wilson:

“ ”Quell’uomo era un giovane aristocratico, un funzionario che era morto, come spiegava la targhetta, piu’ o meno nel periodo in cui avrebbe dovuto sostenere gli esami imperiali… eccolo la’… con la bocca spalancata e il profondo sovramorso dei cinesi moderni!”… Negli anni successivi, Brace analizzo’ molte dentature cinesi e osservo’ che, a eccezione dei contadini, che spesso avevano conservato il morso a martello ( = testa a testa) fino al ventesimo secolo inoltrato, il sovramorso era comparso 800 o mille anni prima rispetto all’Europa.”

I contadini cinesi, pur usando le bacchette, conservarono il morso "testa a testa", ma anche il cervello fino e naturali lineamenti facciali umani fino al ventesimo secolo. Segno che l'introduzione delle forchette o delle bacchette non sono l'unico tipo di cambiamento necessario a disumanizzare gli esseri umani, a partire dai loro denti.

Fino al ventesimo secolo i contadini cinesi hanno conservato il morso “testa a testa” e il cervello fino, a dispetto dell’uso delle bacchette. Segno che forchette e bacchette non sono l’unico tipo di cambiamento necessario a disumanizzare l’essere umano, a partire dai suoi denti.

 

Lo stesso Brace ci da’ testimonianza del fatto che il cinese col sovramorso era un aristocratico, cioe’ un civilizzato autoaddomesticato, che probabilmente mangiava riso brillato ed era affetto da beri-beri, malattia da carenza di vitamina B1 che si trova nei cereali integrali (tipicamente consumati dai contadini ma non dagli aristocratici), e che protegge da… malattie e disfunzioni del sistema nervoso !

Ci sorge dunque il dubbio che anche per il cinese aristocratico il motivo del sovramorso non furono le bacchette, ma l’autodomesticazione (con conseguente disfunzione neuromuscolare facciale) cui certi cinesi si dedicarono 1000 anni prima dei loro colleghi inglesi. Guarda caso i contadini cinesi, dalle scarpe grosse ma dal cervello fino, poterono conservare la loro naturale efficienza umana (che prevede il morso testa a testa) addirittura fino ai nostri giorni. Io ci mediterei sopra…

 

Dr. Andrea Di Chiara